domenica 4 novembre 2007

un uomo una storia - Matthias Zurbriggen

Matthias Zurbriggen (Saas-Fee, 15 maggio 1856 – Ginevra, 21 luglio 1917) è stato un alpinista svizzero. È considerato uno tra i più grandi alpinisti e guide del XIX secolo. Ha partecipato a molte spedizioni scalando le più alte vette della Terra, dalle Alpi all'Himalaya, in America meridionale e in Nuova Zelanda.
Sin da ragazzo presta servizio come guida alpina a Macugnaga, dove era conosciuto come il Signore della Parete Est del Monte Rosa. Costretto a occuparsi di sé stesso fin da giovane e girovagando per l'Europa, imparò diverse lingue. Martin Comway lo volle con sé nel Karakorum, dove conquistò il Pioneer Peak (6.790 m). Nel 1894 Zurbriggen partecipa a una spedizione in Nuova Zelanda, dove compie diverse prime salite: Monti Sefton (3.157 m), Tasman (3.498 m), Silberhorn (3.279 m) e Haidinger (3.066 m). Tre anni più tardi, si recò in Sudamerica dove fece la prima ascensione in solitaria dell'Aconcagua (6.962 m), concludendola il 14 gennaio 1897. Morì suicida a Ginevra nel 1917..

Da solo sull'Aconcagua.

Il nome inca di questa montagna, Acconcahuac, significa "sentinella di pietra" e lungo i suoi alti versanti i sacerdoti quechua erano soliti celebrare i loro crudeli riti sacrificali. L’Aconcagua con i suoi 6962 m è la vetta più alta dell’emisfero australe e di quello occidentale, e lo sarebbe di tutto il mondo se non ci fossero i giganti dell’Himalaya. Fu l’alpinista inglese Edward Whymper nel 1880 ad effettuare la prima misura documentata della montagna valutandola 6700 m. Questo vulcano eroso si trova a 32-33° di latitudine sud, nell’Argentina centro occidentale, a 15 km dal confine cileno all’interno di un’area protetta di 71000 ettari. Le montagne circostanti sono scoscese e aride, un deserto di rocce frantumate e ghiaioni dove la vegetazione è scarsissima. La via normale alla montagna, che si snoda per aride pietraie, segue l’itinerario percorso in solitaria dalla grande guida Matthias Zurbriggen in occasione della prima ascensione del 1887. L’ascensione verrà descritta successivamente dall’autore nella sua celebre autobiografia " Dalle Alpi alle Ande" pubblicata nel 1899 a Londra e di cui si riporto i passaggi salienti.
"Il 9 gennaio il signor FitzGerald decise di effettuare un altro tentativo sull’Aconcagua. Prendendo con noi quattro portatori, in due giorni raggiungemmo il nostro ultimo accampamento sopra il colle. Qui fu necessario un giorno di riposo e occupai il tempo esplorando la zona, con l’obbiettivo di trovare, se possibile, una via più agevole rispetto a quella che al momento avevamo in mente, poichè la salute del mio cliente non consentiva una salita troppo faticosa e volevo risparmiargli la noia di essere obbligati a tornare indietro. Deviando a sinistra sembrava che ci si dovesse arrampicare più facilmente. Eravamo ora ad un' altitudine di circa 5800 metri. II freddo era intenso e un'ora dopo mezzogiomo, nonostante un tempo limpido e senza nuvole, il termometro segnava circa 3 gradi sotto zero. Una mattina avvertii una certa indisposizione, ma volli lo stesso mettere alla prova la mia capacità di salire un po' più in alto. Indossate le calzature adatte, raggiunsi un punto dove cominciai a sentirmi completamente intirizzito dal freddo e ne risentii molto le conseguenze ai piedi, che si sarebbero congelati se non fossi ritornato velocemente all'accampamento, dove una costante frizione alleviò il dolore. Il 14 gennaio risolvemmo con determinazione di compiere uno sforzo finale per raggiungere la vetta dell'Aconcagua. Sentendoci abbastanza in forma per il compito, prima di muoverci mangiammo del cioccolato, quindi, ascendendo molta lentamente, entro mezzogiomo raggiungemmo un punto a meno di cinquecento metri dalla cima. Il signor FitzGerald, tuttavia, non si sentiva bene e sostammo per un'ora nella speranza che riuscisse a riprendersi un poco, ma del tutto inutilmente. In quel momento non vi era null'altro da fare se non tornare indietro! Era una terribile delusione per me, poichè ero gia stato due volte vicino al mio ambito traguardo, ma fino ad allora mi ero trattenuto dall'andare avanti per conto mio poichè volevo che fosse il mio cliente il primo a scalare l'Aconcagua. Avevamo saputo che si stava organizzando una spedizione tedesca con l'obiettivo di scalare la montagna. Chiesi pertanto al signor FitzGerald se avesse qualche obiezione al fatto che io proseguissi per la vetta da solo. Egli non ne sollevò alcuna e fu anzi assai felice che io fossi il primo a portare a termine la salita. Il mio cliente discese quindi all'accampamento con due portatori ed io partii per la cima dell'Aconcagua, che raggiunsi alle cinque meno un quarto del pomeriggio. Ebbi qualche difficoltà nel riuscire di respirazione ma, dopo dieci minuti di permanenza sulla sommità della montagna, mi sentii perfettamente bene. Anzi, con grande facilità, come se mi fossi trovato a livello del mare, eressi un ometto alto circa due metri, di quelli che si costruiscono sempre su una cima appena salita se c'e del materiale a portata di mano per farlo. Non avendo nè matita nè carta, intagliai la data della mia ascensione sul manico della piccozza da ghiaccio del signor FitzGerald che avevo con me e fissai l’attrezzo sulla cima del tumulo. La sommità consiste in un plateau quadrato largo circa settanta metri: la gioia di trovarmici sopra può essere meglio immaginata che descritta. L'Aconcagua, che è la montagna più elevata dell'intero continente americano, è alto 7035 metri e fino ad allora la sua salita era stata considerata impossibile. La vista da lassù era davvero meravigliosa: vedevo l'intero Sudamerica che si estendeva sotto di me, con i suoi mari, montagne e pianure, costellato di villaggi e citta che parevano come piccoli punti. Ah!, come si rimane profondamente impressionati, a simili altezze, dalle stupende opere del Creatore! Ero assai contrariato dal fatto di poter disporre solamente di un'ora per rimanere lassù, poiche si era fatto già tardi e dalle cinque di quel mattino non avevo ingerito nulla se non qualche goccia di vino che il mio cliente aveva diviso con me. Effettuai la discesa al nostro accampamento in tre ore e mezza. Il signor FitzGerald mi venne incontro e fu estremamente lieto di udire il risultato della mia impresa. Gli raccontai tutto in poche parole, al che egli suggerì di ritornare a Puente del Inca il più in fretta possibile per telegrafare la notizia a Londra. Il giorno seguente, quindi, lasciando due portatori al campo con l’incarico di custodire gli strumenti scientifici, partimmo per Inca dove giungemmo la sera stessa. Qui, dopo aver compilato ed inviato il nostro telegramma, cenammo in compagnia del signor D. Cotton, il gestore dell’hotel, il quale stappò diverse bottiglie di champagne che mi procurarono un’emicrania che durò due giorni."

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