lunedì 24 dicembre 2007

giovedì 13 dicembre 2007

La mia "Fiaccolata Vestina"

Le condizioni meteo non sono delle migliori, anzi…
Sinceramente la prospettiva di partecipare alla “Fiaccolata Vestina” non mi entusiasma.
Pranzo con calma tirando a far tardi, il caffè, preparo lo zaino, lampada frontale, torce di ricambio, giacca antipioggia, servirà sicuramente un ricambio completo, prima di mettere tutto nello zaino divido per criterio di utilizzo e metto in buste di plastica, piccola accortezza per evitare che si bagni tutto.
Il caminetto acceso in taverna, Sky sta per proporre un buon film, che non ho ancora visto,
telefono a Sergio per gli aggiornamenti, in tutta onesta ammetto che spero mi dica “lascia stare, non se ne fa più niente”, invece “C’è una gran nebbia ma non piove, ti aspetto”.
Salgo in auto e parto.
Attraverso un territorio fiabesco,
le case coloniche con le loro luminarie natalizie seminascoste dalla nebbia,
un ragazzetto in bici, il suo cane che lo insegue,
lunghe file di uccelletti sui fili della luce,
e il silenzio!!!,
la gente se ne sta in casa, seduta accanto al fuoco,
chissà se i nonni raccontano ancora storie ai nipoti, come facevano i miei,
o se, adeguandosi ai tempi, giocano con l’ultimo ritrovato della play station.
E tra una riflessione e un ricordo arrivo a Civitella Casanova.
La nebbia di Sergio si è oramai trasformata in pioggia ma, nonostante ciò, in piazza gia si contano una trentina di persone.
Giusto il tempo per un saluto agli amici, un abbraccio a Filippo e ci organizzano per l’escursione.
Ci spostiamo con le auto per arrivare all’inizio del sentiero.
Piove a dirotto, il buon senso consiglierebbe di non salire ma la gente del CAI non ragiona con il buon senso, ragiona con il cuore perciò si parte.
L’escursione inizia su una comoda sterrata, questo, nonostante la pioggia, permette ai partecipanti, a questo punto più di sessanta di familiarizzare tra loro.
Un gruppetto di seri professionisti ride raccontandosi barzellette che è meglio non riportare, un’anziana signora dispensa, ad un gruppo di più giovani amiche, consigli e ricette per il pranzo della Vigilia, due adolescenti si scambiano invece i numeri di telefono, un altro amore nato all’ombra del CAI?
Lasciamo la sterrata ed imbocchiamo un sentiero dove bisogna procedere in fila indiana, superiamo una tabella che segnala i 950 metri di quota, le gocce di pioggia man mano che saliamo si trasformano fino a diventare fiocchi di neve.
A valle i paesi cominciano ad illuminarsi, uno si distingue tra gli altri per la sistemazione a forma di stivale dei suoi lampioni, mi piace pensare sia un omaggio alla nostra bella Italia.
Siamo quasi arrivati quando, complici le nuvole, la luce lascia il posto al buio. Mancano veramente pochi metri, decidiamo di non accendere le lampade, la luce del potente faro che illumina la croce a Colle Madonna è sufficiente a rischiarare l’ultimo tratto di sentiero imbiancato dalla neve.
Incredibile le capacità organizzative dei ragazzi del CAI di Penne, in cima al colle è parcheggiato un furgone che dispensa dell’ottimo the bollente e deliziosi biscotti fatti in casa, un bidone pieno di tronchi che bruciano scalda i più freddolosi mentre la neve cade, copiosa, a coprire persone e cose e, si torna tutti un po’ ragazzi, si ride, si scherza, ci si dà reciprocamente dell’incosciente, ci si vuole bene, anche se non ci si conosce, sarà il Natale imminente o sarà qualcosa d’intrinseco in questa gente d’Abruzzo che grazie al CAI rientra in simbiosi con la propria terra?
A stare fermi si comincia a sentir freddo, meglio organizzarsi per scendere.
Ognuno accende la sua luce, tenue lampada frontale o potente torcia che sia. Parto tra i primi ed è solo quando mi giro che mi entusiasmo nel vedere questo fiume di luce che scende verso il paese, a questo punto potrei postare una foto ma non renderebbe l’idea, bisogna esserci per apprezzare.
Nevica, piove, siamo talmente zuppi che è diventato inutile continuare a tenere aperti gli ombrelli.
Si scende ridendo e scommettendo su chi sarà il prossimo a scivolare e sedersi sulla neve.
In discesa si guadagna in fretta la quota da dove siamo partiti, ci infiliamo in auto senza cambiarci e scendiamo in paese.
Le sorprese non sono finite, anzi, il bello deve ancora venire.
Al primo piano della casa parrocchiale vengono messi a nostra disposizione dei locali dove cambiarci e asciugarci. Appena pronti una splendida ragazza, vera bellezza locale, ci invita ad accomodarci in Chiesa dove si esibirà un Coro folcloristico di Cepagatti, “Sotto la Torre”, sono un po’ scettico, penso che forse è meglio salutare e tagliare la corda ma, trascinato dall’entusiasmo di Filippo mi siedo in prima fila per ascoltarli.
Basta il primo brano a coinvolgermi, sono veramente bravi e noto che in Chiesa e sceso il silenzio e tutti i posti a sedere sono occupati.
A fine esibizione siamo tutti in piedi ad applaudire e, nonostante il freddo, i poveri coristi sono costretti a due bis.
Si è fatto tardi ed è ora di cena, si riparte….
e invece no, anche in questo gli organizzatori si sono superati, ci fanno accomodare al pian terreno della grande casa parrocchiale e ci offrono pasta e fagioli e pizze fritte con mortadella o formaggio e dolci fatti in casa, e vino e musica e canti.
Alle dieci mentre un simpatico personaggio tira fuori una zampogna subito imitato da un altro che materializza dal nulla una fisarmonica decido che è purtroppo ora di andare.
Quando sono arrivato ho salutato 4 amici adesso devo salutarne 40, che serata.
Permettetemi di ringraziare gli Accompagnatori di Escursionismo della Sezione di Penne,
Sergio Fortunato e Alessandra Ciarico, bravi ragazzi, ottimo lavoro.
Un grazie particolare anche ad Antonio Catani e a Filippo Di Donato e a tutti quelli del CAI che si adoperano per la riuscita di queste manifestazioni.
Ci vediamo il 26 Dicembre a Castelli.

Buon Natale.

sabato 17 novembre 2007

Barriò Gotico


Volo diretto da Pescara, un'ora e mezza di pullman da Girona e all’una di notte finalmente a Barcellona.
Secondo le informazioni di Zoila andando a piedi arriviamo al nostro appartamento in 10 minuti.
Dopo un ora di cammino con bagagli al seguito fermiamo un taxi, 5 minuti e siamo davanti alla bella chiesa barocca costruita per la “Virgin de la Mercé”. L’affabile tassista ci spiega che non puo andare oltre con l'automobile, bisogna proseguire a piedi fino alla seconda traversa a destra, che incontreremo dopo aver imboccato la stradina di fronte che si inoltra nel barriò gotico. Vedo una luce strana nei suoi occhi, perchè?
Lo capisco dopo pochi passi, la “ciutat vella” mi ingoia. Sono le 2 e mezza, sono troppo stanco per decidere se la sensazione è piacevole o terrorizzante. I visi delle persone che incontriamo non sono rassicuranti, ma nessuno prova ad importunarci.

Dopo poche centinaia di metri svoltiamo in Carrer de Milans e alla vista dell'ingresso del nostro appartamento non posso negare un attimo di sgomento.


Penserete che la foto è uscita male, non si vede niente, solo una luce verde e un caos di murales!!! Quello che vedete è lo specchio fedele della realta. Manca solo il gruppetto dei rasta che si dividevano beati gli ultimi grammi di un'erba che doveva essere molto gradevole a giuidicare dalla loro allegria e dagli abbracci che i scambiavano. dopo una ventina di minuti l'assonnata padrona di casa arriva in bici, ci saluta con un allegro "Ola" e ci apre l'improbabile portoncino d'ingresso. Saliamo le scale, strette, ripide e consumate dal tempo, alzo lo sguardo, conto almeno sette piani, per fortuna ci fermiamo al primo. La nostra strega Barcellonese ci introduce con aria soddisfatta nella nostra reggia. Occorrono parecchi secondi per abituarsi all'odore di muffa. L'appartamento. é grande, non aggiungo altro.
Alle tre e mezza finalmente posso buttarmi sul letto e abbandonarmi ad un sonno ristoratore.
Dormo senza interruzioni fino alle nove, i letti sono comodi. Non occorre accendere la luce per vederci, le fessure degli infissi sono talmente numerose ed ampie.
Eppure tutto questo ha qualcosa di familiare, e come se qui ci fossi già stato.
Mi alzo e apro la finestra per far entrare luce ed aria fresca ma, ll vicolo è talmente stretto e tutto quello che entra sono i suoni di Barcellona.

E mi torna in mente un ragazzo ventenne e le sue estati a Napoli con l'amico Domenico.

Improvvisamente mi assale la voglia di scendere in strada, in cucina non c'è la dolce zia Nilde e neanche la colazione fatta di latte e sfogliatelle napoletane e non c'è neanche Domenico perso di vista da quasi un ventennio Appena torno cerco di rintracciarlo, si dice sempre cosi quando ti assale la nostalgia, poi la vita riprende il suo corso e dimentichi i buoni propositi.

Invece l'atmosfera è simile a quella della Napoli di venti anni fà, a quella vera, quella dei napoletani. Una ragnatela di stradine e una miriade di botteghe dove trovi di tutto, negozi di tatoo e artigianato etnico, resto incollato 10 minuti davanti alle vetrine di un negozio rasta, e Prosciutti appesi dappertutto, rami di peperoncino, verdura, frutti lussureggianti e profumo di pomodoro fresco ed aglio e sorrisi e "ola" e turisti col naso in su affascinati dalle guglie della Cattedrale di Sant'Elia, patrona di Barcellona. Sto camminando da un bel pò oramai, non riesco più ad orizzontarmi in questo labirinto, forse e meglio che chiedo e mentre lo penso mi ritrovo sotto casa.

Gli altri sono pronti, adesso comincia la visita ufficiale della città.
Ma questa è un'altra storia, ve la raccontero in seguito.

mercoledì 7 novembre 2007

ACONCAGUA 2009


Cominciano a delinearsi i primi dettagli sulla nostra, sempre più probabile, avventura in Sud-America. Per gentile concessione di Renato, ideatore della spedizione, i posti a disposizione per la compagine abruzzese sono quattro. I primi ad aderire all’iniziativa siamo stati Io, Alfredo, Mario e Riccardo.


Alfredo

con lui ho condiviso quasi tutte le vette più belle anzi, tolte la traversata dei Pirenei e i 5895 metri del Kilimanjaro, posso dire di aver condiviso con lui tutte le salite più belle. Insieme abbiamo calpestato il Mont Blanc de Tacul, il Gran Paradiso, Punta Gnifetti e la sua Capanna Margherita, il Monte Bianco, il Braithorn Occidentale, il Monviso e siamo arrivati ad un passo dalla vetta del Pizzo Bernina. Non sto ad elencare le vette Abruzzesi, praticamente tutte, ma mi soffermo su alcune invernali che resteranno per sempre nei miei ricordi, mitica una salita sul monte Camicia con nebbia e temperature polari. Alfredo più che un amico, un fratello (minore vista l’età).


Mario

Il mio amico Mario, l’irraggiungibile, il forrest-gump di casa nostra. Il corridore del cielo. Lui non corre per vincere, ma per puro divertimento e per sfidare i propri limiti e la propria resistenza fisica. Il fatto che comunque vince sempre è secondario. E’ talmente allenato che non lo invitiamo più a venire con noi, ci fa sentire troppo scarsi. Tra le sue ultime imprese la "North Face Ultra Trail Tour du Mont Blanc" una corsetta di 163 km intorno al Monte Bianco.
Speriamo che la quota dell’Aconcagua lo faccia rallentare.


Riccardo

Istruttore di fitness, la poca esperienza fatta in quota è controbilanciata da condizioni fisiche perfette, grinta da vendere e voglia di viaggiare. Secondo me sarà la piacevole sorpresa di questa spedizione. Avrà 14 mesi di tempo per conoscere meglio la montagna


Io?

Attualmente gran teorico delle vette, abbondantemente in soprappeso. Avrò 14 mesi di tempo per perdere la ventina di chili messi negli ultimi tre anni. Confido molto nell’aiuto di Riccardo


domenica 4 novembre 2007

un uomo una storia - Matthias Zurbriggen

Matthias Zurbriggen (Saas-Fee, 15 maggio 1856 – Ginevra, 21 luglio 1917) è stato un alpinista svizzero. È considerato uno tra i più grandi alpinisti e guide del XIX secolo. Ha partecipato a molte spedizioni scalando le più alte vette della Terra, dalle Alpi all'Himalaya, in America meridionale e in Nuova Zelanda.
Sin da ragazzo presta servizio come guida alpina a Macugnaga, dove era conosciuto come il Signore della Parete Est del Monte Rosa. Costretto a occuparsi di sé stesso fin da giovane e girovagando per l'Europa, imparò diverse lingue. Martin Comway lo volle con sé nel Karakorum, dove conquistò il Pioneer Peak (6.790 m). Nel 1894 Zurbriggen partecipa a una spedizione in Nuova Zelanda, dove compie diverse prime salite: Monti Sefton (3.157 m), Tasman (3.498 m), Silberhorn (3.279 m) e Haidinger (3.066 m). Tre anni più tardi, si recò in Sudamerica dove fece la prima ascensione in solitaria dell'Aconcagua (6.962 m), concludendola il 14 gennaio 1897. Morì suicida a Ginevra nel 1917..

Da solo sull'Aconcagua.

Il nome inca di questa montagna, Acconcahuac, significa "sentinella di pietra" e lungo i suoi alti versanti i sacerdoti quechua erano soliti celebrare i loro crudeli riti sacrificali. L’Aconcagua con i suoi 6962 m è la vetta più alta dell’emisfero australe e di quello occidentale, e lo sarebbe di tutto il mondo se non ci fossero i giganti dell’Himalaya. Fu l’alpinista inglese Edward Whymper nel 1880 ad effettuare la prima misura documentata della montagna valutandola 6700 m. Questo vulcano eroso si trova a 32-33° di latitudine sud, nell’Argentina centro occidentale, a 15 km dal confine cileno all’interno di un’area protetta di 71000 ettari. Le montagne circostanti sono scoscese e aride, un deserto di rocce frantumate e ghiaioni dove la vegetazione è scarsissima. La via normale alla montagna, che si snoda per aride pietraie, segue l’itinerario percorso in solitaria dalla grande guida Matthias Zurbriggen in occasione della prima ascensione del 1887. L’ascensione verrà descritta successivamente dall’autore nella sua celebre autobiografia " Dalle Alpi alle Ande" pubblicata nel 1899 a Londra e di cui si riporto i passaggi salienti.
"Il 9 gennaio il signor FitzGerald decise di effettuare un altro tentativo sull’Aconcagua. Prendendo con noi quattro portatori, in due giorni raggiungemmo il nostro ultimo accampamento sopra il colle. Qui fu necessario un giorno di riposo e occupai il tempo esplorando la zona, con l’obbiettivo di trovare, se possibile, una via più agevole rispetto a quella che al momento avevamo in mente, poichè la salute del mio cliente non consentiva una salita troppo faticosa e volevo risparmiargli la noia di essere obbligati a tornare indietro. Deviando a sinistra sembrava che ci si dovesse arrampicare più facilmente. Eravamo ora ad un' altitudine di circa 5800 metri. II freddo era intenso e un'ora dopo mezzogiomo, nonostante un tempo limpido e senza nuvole, il termometro segnava circa 3 gradi sotto zero. Una mattina avvertii una certa indisposizione, ma volli lo stesso mettere alla prova la mia capacità di salire un po' più in alto. Indossate le calzature adatte, raggiunsi un punto dove cominciai a sentirmi completamente intirizzito dal freddo e ne risentii molto le conseguenze ai piedi, che si sarebbero congelati se non fossi ritornato velocemente all'accampamento, dove una costante frizione alleviò il dolore. Il 14 gennaio risolvemmo con determinazione di compiere uno sforzo finale per raggiungere la vetta dell'Aconcagua. Sentendoci abbastanza in forma per il compito, prima di muoverci mangiammo del cioccolato, quindi, ascendendo molta lentamente, entro mezzogiomo raggiungemmo un punto a meno di cinquecento metri dalla cima. Il signor FitzGerald, tuttavia, non si sentiva bene e sostammo per un'ora nella speranza che riuscisse a riprendersi un poco, ma del tutto inutilmente. In quel momento non vi era null'altro da fare se non tornare indietro! Era una terribile delusione per me, poichè ero gia stato due volte vicino al mio ambito traguardo, ma fino ad allora mi ero trattenuto dall'andare avanti per conto mio poichè volevo che fosse il mio cliente il primo a scalare l'Aconcagua. Avevamo saputo che si stava organizzando una spedizione tedesca con l'obiettivo di scalare la montagna. Chiesi pertanto al signor FitzGerald se avesse qualche obiezione al fatto che io proseguissi per la vetta da solo. Egli non ne sollevò alcuna e fu anzi assai felice che io fossi il primo a portare a termine la salita. Il mio cliente discese quindi all'accampamento con due portatori ed io partii per la cima dell'Aconcagua, che raggiunsi alle cinque meno un quarto del pomeriggio. Ebbi qualche difficoltà nel riuscire di respirazione ma, dopo dieci minuti di permanenza sulla sommità della montagna, mi sentii perfettamente bene. Anzi, con grande facilità, come se mi fossi trovato a livello del mare, eressi un ometto alto circa due metri, di quelli che si costruiscono sempre su una cima appena salita se c'e del materiale a portata di mano per farlo. Non avendo nè matita nè carta, intagliai la data della mia ascensione sul manico della piccozza da ghiaccio del signor FitzGerald che avevo con me e fissai l’attrezzo sulla cima del tumulo. La sommità consiste in un plateau quadrato largo circa settanta metri: la gioia di trovarmici sopra può essere meglio immaginata che descritta. L'Aconcagua, che è la montagna più elevata dell'intero continente americano, è alto 7035 metri e fino ad allora la sua salita era stata considerata impossibile. La vista da lassù era davvero meravigliosa: vedevo l'intero Sudamerica che si estendeva sotto di me, con i suoi mari, montagne e pianure, costellato di villaggi e citta che parevano come piccoli punti. Ah!, come si rimane profondamente impressionati, a simili altezze, dalle stupende opere del Creatore! Ero assai contrariato dal fatto di poter disporre solamente di un'ora per rimanere lassù, poiche si era fatto già tardi e dalle cinque di quel mattino non avevo ingerito nulla se non qualche goccia di vino che il mio cliente aveva diviso con me. Effettuai la discesa al nostro accampamento in tre ore e mezza. Il signor FitzGerald mi venne incontro e fu estremamente lieto di udire il risultato della mia impresa. Gli raccontai tutto in poche parole, al che egli suggerì di ritornare a Puente del Inca il più in fretta possibile per telegrafare la notizia a Londra. Il giorno seguente, quindi, lasciando due portatori al campo con l’incarico di custodire gli strumenti scientifici, partimmo per Inca dove giungemmo la sera stessa. Qui, dopo aver compilato ed inviato il nostro telegramma, cenammo in compagnia del signor D. Cotton, il gestore dell’hotel, il quale stappò diverse bottiglie di champagne che mi procurarono un’emicrania che durò due giorni."

Itinerari di salita all'Aconcagua



Ghiacciaio "De los Polacos"

Questo itinerario è stato iniziato nel 1934 da un gruppo di polacchi ed è il primo itinerario della salita al Aconcagua dopo quello normale. È conosciuto universalmente per le sue attrazioni naturali e il paesaggio imponente, si è trasformato in uno dei classici itinerari per gli scalatori sportivi. Ci sono basicamente due rotte da seguire: Da “Plaza Argentina” o da “Plaza de Mulas”. La prima è la meno utilizzata ma la più bello. La seconda è più corta e ha servizi migliori.
Partendo da “Plaza de Mulas”, la prima sosta sarebbe a “Nido de Cóndores” per trascorrere la notte. Dopo, si continua l'itinerario fino a “Berlín”, ma prima del primo zigzag, si gira a destra e si continua sempre salendo e circondando la montagna verso l'Est, arrivando al posto numero due.

Da questo accampamento si possono seguire due rotte: La rotta originale de “Los Polacos” (più lunga e liscia). Bisogna sviare, attraversare il ghiacciaio a sinistra verso un affioramento roccioso nominato “Piedra Bandera”, dove si puo montare il campeggio numero 3 a quota 6.400. Da lì, si continua a destra per il filo facile alla cima. La seconda rotta (diretta) è molto eretta. Si attraversa un ghiacciaio liscio e uniforme, si segue tutto il bordo destro del ghiacciaio dal campeggio numero 2, dopo si pasa per diversi isolotti di roccie a destra con una pendenza di 30°. La pendenza va in aumento e il sentiero si stringe fino ad arrivare al "imbuto", dove la pendenza è di 50° e la quota supera i 6.500 m., poi, si cammina su neve dura per il bordo dell' “imbuto” fino arrivare in cima. La discesa, del solito, si fà per la rotta normale dell’ Aconcagua, arrivando al rifugio “Independencia”, da dove si va di nuovo al campeggio numero 2.

sabato 3 novembre 2007

Un uomo, una storia - Stanislao Kuckiewicz Romika


Stanislao Kuckiewicz Romika, Stany per gli amici, è un personaggio quasi sconosciuto al grande pubblico ma un autentico innovatore della pesca a mosca e spinning, basti pensare al famoso cucchiaino Martin da Lui inventato.E’ stato produttore di sofisticate esche artificiali in plastica (ninfe, camole, effimere e gamberetti), ma più che altro è stato l’ideatore di una particolare tecnica di lancio che consente l’utilizzo di code di topo ultraleggere di sua creazione e costruzione che andavano dalla 0.85 alla 2,5.(pensate che quest’ultima la considerava già pesante adatta a lanciare anche qualche piccola ninfetta piombata…) La profonda conoscenza dell’etologia e del comportamento animale, un amore profondo per la speculazione filosofica e un gran rispetto per l’umanità e la natura, ne hanno fatto un personaggio che ha contribuito notevolmente alla storia nel nostro paese.
Nasce il 22 Febbraio 1909 a San Pietroburgo, sotto il segno dello Zar Nicola II ma di genitori Polacchi, il padre studia ingegneria al politecnico di quella città e acquisisce così la cittadinanza Polacca. Fin dalla tenera età di 5 anni comincia ad andare a pescare (e a cacciare) con il padre. Dopo i primi anni trascorsi in Russia nel 1911 rientra in Polonia, a Lodz dove il padre fa l’ingegnere. Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale mentre il padre stà al fronte, Stany insieme al fratello maggiore e alla madre fugge in Russia dietro la spinta delle truppe tedesche. Nel 1919, ad appena 10 anni, inizia a pescare a mosca e lo fa in modo del tutto particolare: completamente isolato dalle influenze anglosassoni incomincia a scoprire ed inventare una pesca a mosca osservando intensamente la natura e il comportamento dei pesci. Vedendo i pesci bollare, iniziò a pensare che poteva catturarli imitando gli insetti di cui si cibavano. Il suo più grande desiderio era di poterlo fare senza collegamento con l’esca, quasi per magia. Considerando che non era possibile, elaborò una lenza leggerissima in crine di cavallo, molto sottile ed incominciò ad abituarsi a stancare il pesce con intelligenza, senza usare la forza. Le prime imitazioni erano fatte in lana o peli animali, la canna era in nocciolo di 1,70-1,90 m la coda era in crine intrecciato lunga il doppio… Aveva inventato la valsesiana. A 15 anni cominciò a pescare con la canna da mosca vera e propria, inizialmente con canne in bamboo di provenienza anglosassone e successivamente con canne in fibra di vetro di provenienza tedesca. Ma non si era scordato la grande flessibilità del nocciolo e le lenze leggerissime, tanto è che fin dall’inizio ciò poneva i presupposti di fondo per la nascita della sua particolare tecnica di lancio che stando alle sue analisi, sarebbe stata in grado di restituire oltre il 90% dell’energia impiegata nel lancio contro il 30% 40% delle tecniche tradizionali. Dopo il ginnasio frequenta i primi due anni di medicina, si iscrive successivamente a legge ma lo scoppio della seconda guerra mondiale ne interrompe gli studi costringendolo a partecipare alle vicende belliche dell’esercito polacco. In quell' anno viene fatto prigioniero dai sovietici con tutta la famiglia, compresa la prima moglie che morirà poco dopo a Leopoli di parto insieme alla bambina. Appartenente ad una agiata famiglia di proprietari terrieri, Stany, dopo una breve parentesi di libertà, viene nuovamente arrestato e, riconosciuto dal potere stalinista come “nemico del popolo”, viene deportato nella regione siberiana del Kazakistan, dove sopravvive fino all’autunno del 1942 facendo il cacciatore di professione e il medico. In quell’anno riesce avventurosamente a fuggire assieme ad altri cinque compagni di prigionia con un odissea di oltre 3000 km, quasi tutti a piedi che lo portano dai confini della Mongolia estrema alle rive del Mar Caspio, dove si unisce al II corpo d’armata polacco.Poi assieme all’esercito inglese giunge in Persia quindi attraverso numerosi paesi del Medioriente in Egitto e infine nel Natale del ’43 sbarca in Italia dove partecipa alla battaglia di Montecorsino e sempre a fianco dell’esercito inglese combatte su tutto il fronte di liberazione adriatico fino a Bologna, dove si stabilisce e infine a Fermo nelle Marche dove ha vissuto con modestia e in modo schivo gli ultimi anni della sua vita, importando le sue geniali imitazioni, la scuola di lancio e la sua piccola industria per la produzione di imitazioni di plastica. A Lui viene dedicato il museo italiano della pesca a mosca , inaugurato ufficialmente il 24 settembre 2000 a Castel di Sangro, nasce da un progetto della Scuola Italiana di Pesca a Mosca.il Museo è ospitato all'interno del Convento della Maddalena, una struttura risalente al 1487 ed è allestito in due ambienti concessi dal Comune di Castel di Sangro.Alla sua realizzazione hanno contribuito l'Associazione Pescasportivi di Castel di Sangro, il Comune di Castel di Sangro, l'Archeoclub d'Italia sezione di Castel di Sangro e la collaborazione di Cavatorti Giorgio, esperto del settore ed attuale direttore del museo.

Una mail da un amico

"Ciao Vincenzo,
come te la spassi???
Nel caso volessi tralasciare per un certo periodo le trote Ti ricordo che l'alternativa sarebbe l'ACONCAGUA.
Come ti avevo già accennato sto organizzando questa uscita e sarei molto contento se riesci ad inseriti o se hai altre persone che possono essere interessate. Al momento ho soltanto una bozza del programma che ho pensato sentendo altre persone che ci sono state o su internet. La data prevista è gennaio 2009. Vista la consistenza della meta bisogna prepararsi e fare un bel programma per tutti i partecipanti nell'anno 2008.
Fammi sapere cosa ne pensi e soprattutto se hai qualche camoscio da inserire, poi eventualmente organizzeremo un incontro per buttare giù le idee magari nell'ambito di un pranzo/cenetta successiva ad un'uscita in montagna.
Un abbraccio Renato"

Sono bastate queste 4 righe per risvegliare passioni assopite da un pò di tempo.
L'avventura comincia, 14 mesi di tempo per tornare alla forma fisica e mentale raggiunta per la salita al Kilimanjaro del 2004.